Gli Oscar Senza Racconto Che Alla Fine Raccontano Questa America

Una cerimonia (e una stagione) senza narrazione, o con troppe narrazioni. Con vincitori annunciati persi per strada e un vincitore assoluto – ‘Anora’ – forse non previsto. Eppure, forse lo “storytelling” sta proprio qui.

Sean Baker riceve l’Oscar per il miglior film per ‘Anora’ Image source: Myung J. Chun/Los Angeles Times via Getty Images

Oscar senza politica, o forse è troppa? Oscar troppo lunghi? Oscar caotici? Oscar bislacchi? Oscar senza racconto. Ma è proprio per questo che finiscono per raccontare l’America, questa America. Oscar senza narrazione, come si dice oggi. Pure Conan O’Brien, che parte (bene) dal film del riscatto mancato di Demi Moore, si perde, è indeciso, fa troppo, fa troppo poco. Prima il monologo e poi il numero musicale, all’inizio è sempre in scena e poi sparisce. Non si sa del resto di che substance è fatta Hollywood in questo momento, e pure la grande festa aziendale si adegua.

E allora, in un palmarès che doveva essere il Cencelli dell’industry com’è oggi post pandemia, post streaming, post inclusivity, post tutto – ovvero: qualcosa agli Studios, qualcosa alle piattaforme che mettono un sacco di soldi (vedi Amazon con Bond), qualcosa all’indie duro e puro che tiene vive le sale (di New York e Los Angeles, vabbè) –, sbanca tutto Sean Baker, e da anoriano son pure contento.

Ma quella di Anora, film per me appunto bellissimo, è una vittoria non così prevista, almeno non all’inizio di questa sgangheratissima Awards Season, avvenuta più per le altrui sconfitte e i pezzi persi per strada (leggi: Emilia Pérez, la vera case history di questo tempo e delle sue istanze che si sono incartate su sé stesse), una vittoria forse non prevista neanche dalla stessa Hollywood. Sono molto contento, ma è quel sentimento un po’ misto di quando hanno successo quelli che ti piacevano quando non se li filava nessuno o quasi, e un po’ ti rode che adesso son di tutti.

Demi Moore agli Oscar Image source: Rolling Stone Italia

È una vittoria über indie, di un autore totale (quattro Oscar nella stessa sera, come regista, produttore, sceneggiatore, montatore: non era mai successo a nessuno), che fa film come vuole lui ma non per questo si pone “anti” industria, e difatti l’industria, nell’impasse di questo momento, finisce per premiarlo. È la vittoria di un film costato 6 milioni di dollari (ormai manco una produzione italiana), che fotografa un momento, uno strappo, quello dell’America spersa, impoverita e ancora capitalista, oligarchi russi prepotenti e (sex) working class che ancora vuole credere al sogno, ma quale. E anche la vittoria, non scontata, di un film che in fondo resta una commedia – ma con il finale più struggente (e femminista senza strilli) degli ultimi anni.

Sono Oscar senza racconto che, dicevo, in qualche modo questa America la raccontano molto bene, certo indirettamente, e sicuramente più a palati cinéphile che al grande pubblico. Di certo gli Oscar 2025 non hanno voluto raccontare le storie hollywoodiane che avevano a portata di mano. Quella di Demi Moore, che si vede scippata la vittoria data per certa (ma mai fidarsi troppo dello storytelling); e spiace che Mikey Madison rischi di essere ricordata come la scippatrice, appunto, perché è un’attrice qui sopraffina (e lo è stata pure nella serie Better Things, per i pochi – anche lì – che l’hanno vista). L’altra storia mancata è quella di Timothée Chalamet, che ora probabilmente dovrà aspettare anni e anni come DiCaprio, reo di essere troppo cool, troppo amato, troppo bravo anche.

Timothée Chalamet Red Carpet Image source: Rolling Stone Italia

Hollywood non premia la rivincita della veterana bella e mai presa sul serio, e nemmeno l’ultimo divo (e soprattutto l’ultimo nato “solo” col cinema, senza serie e piattaforme). Volta un po’ le spalle a sé stessa, impoverita e capitalista come i personaggi di Anora, ma senza nemmeno lo sberleffo, la speranza che quel grezzo caos porti a qualcosa di bello, o anche solo di sperato. L’unica luce – di bellezza, di heritage, di cinema – è Isabella Rossellini in velluto blu (cuoricini, canterebbe qualcuno). Il resto è un Anora ma senza risate, del resto in platea parevano tutti ingrugniti, speriamo che ai party si siano divertiti un po’, è pur sempre una festa.

Cosa ne pensate di questa edizione degli Oscar? Credete che Anora rappresenti davvero lo spirito di questa America? Fatecelo sapere nei commenti!

Mattia Carzaniga Image source: Rolling Stone Italia

Mattia Carzaniga

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