
Sarebbe stato il momento perfetto per questa satira sui “peggio ricchi”, con tanto di star, creature mitiche, sangue e un certo rancore verso le società farmaceutiche. Peccato che il film non graffi.
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I ricchi non sono come noi. Vivono in un mondo dorato di privilegi smisurati, dove tutto è usa e getta, dalle auto di lusso alle relazioni. E non si fanno scrupoli a cacciare animali fantastici per sport o per cercare l’immortalità. Death of a Unicorn parte con l’intenzione di demolire i membri più spregevoli di quell’1% disgustoso. Se mai c’è stato un momento per abbracciare una commedia horror che sappia di disparità sociale, con risate, rabbia e litri di sangue, è proprio questo. Distruggiamo l’élite americana? Certo che sì!
Ma per colpire il bersaglio, bisogna avere mira precisa. Questo mix di satira e splatter non riesce a stare fermo abbastanza a lungo per mantenere la mano ferma. Il regista Alex Scharfman stravolge la mitologia secolare dell’unicorno, creatura che ha abbellito passaggi biblici, dipinti rinascimentali e zaini di adolescenti. Riesce a ripensare l’unicorno ben oltre l’immaginazione dei bambini. Avete mai sognato di assistere non solo alla morte di un unicorno, ma anche a molte altre morti a causa di un unicorno? Questo film potrebbe esaudire i vostri desideri. Ma togliete gli effetti visivi scadenti, le interiora finte e persino un senso di indignazione ancora più finto per le malefatte dei ricchi, e vi ritroverete con l’equivalente di una pecora travestita da lupo. Ci sono creature fantasy assassine, un sacco di corna appuntite, ma assolutamente nessuna vera carica satirica.
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Elliott (Paul Rudd), avvocato vedovo, ama sua figlia adolescente, Ridley (Jenna Ortega). Ma non quanto il suo lavoro, né quanto le opportunità di carriera che si presentano quando lavori per l’oligarca di una corporation. La sua area di competenza è tecnicamente l’etica aziendale, che è di per sé un ossimoro, ma la sua vera specialità è leccare i piedi ai potenti. Ridley non vuole accompagnare il padre in questo viaggio di lavoro. La loro destinazione è la tenuta del datore di lavoro malato terminale di Elliott, Odell Leopold (Richard E. Grant). Ci sono anche la “dolce metà” di Odell, Belinda (Téa Leoni), che sembra vivere la sua vita come un’audizione continua per entrare nel franchise Real Housewives, e il figlio tossico e arrogante, Shepard (Will Poulter). Considerando che hanno fatto fortuna nel settore farmaceutico, i Leopold sembrano modellati sui Sackler, che Scharfman ha citato come fonte d’ispirazione, ma potrebbero essere qualsiasi dinastia americana di ricchi sfondati, dagli Astor ai Rockefeller. Il punto è che sono il tipo di ricchi che hanno bisogno di una villa piena di servitori e di guardie di sicurezza paramilitari, e pagano per non assumersi mai la responsabilità di nulla.
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Mentre percorrono la lunga e tortuosa strada per arrivare a casa Leopold, Elliott e Ridley investono quello che credono sia un cervo. Osservando meglio, si rendono conto che è un vero e proprio unicorno. Ridley afferra il corno luminoso dell’animale (e non è un eufemismo) e all’improvviso vede l’intero cosmo aprirsi davanti ai suoi occhi, in tutta la sua gloria nebulosa e divina. Poi Elliott fracassa il cranio dell’animale morente. “L’ho ucciso per pietà”, spiega. Esce sangue viola a litri. Padre e figlia trascinano l’animale morto nel bagagliaio della loro auto a noleggio e si dirigono a casa dei Leopold, pensando di seppellire il corpo più tardi.
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Per farla breve, l’unicorno non è ancora morto. E quando Ridley si ritrova con un po’ del suo plasma viola sulle dita e poi si tocca la guancia, la sua pelle diventa meravigliosa. Quanto ai Leopold, capiscono subito che i poteri curativi della creatura potrebbero guarire i mali di Odell. Ancor meglio, le proprietà mistiche di questa bestia possono essere monetizzate e sfruttate. Gli scienziati assunti dalla famiglia (interpretati da Steve Park e Sunita Mani) iniziano con riluttanza a studiare come questo animale un tempo immaginario potrebbe dare benefici all’umanità e, in particolare, profitti ai Leopold. Poi due unicorni molto più grandi si presentano nel giardino. Sono i genitori, molto protettivi, di quello che viene torturato nel laboratorio della tenuta. Mamma e papà unicorno sono disposti a tutto per riprendersi il loro cucciolo, il che non promette nulla di buono per gli umani che preferirebbero non essere infilzati, calpestati e/o sventrati.
Ci sono stati parecchi film negli ultimi anni che hanno criticato la classe dei miliardari o che sottolineano il fatto che la bussola morale collettiva di un clan benestante tende a guastarsi oltre una certa soglia di ricchezza (e Odell non è nemmeno il primo patriarca aristocratico maledetto che Richard E. Grant interpreta in questo decennio: vedi Saltburn). Ma il livello di egoismo e narcisismo da cartone animato concesso a questi veri e propri personaggi da incubo tardo-capitalistici inizia a precipitare a un livello che getta tutto nel caos totale. L’intelligenza e le battute taglienti non hanno cittadinanza qui. Il che va bene, considerando che l’intera idea di attaccare la mentalità del privilegiare il profitto rispetto alle persone è solo una facciata per quello che Death of a Unicorn vuole davvero essere: una rivisitazione di Jurassic Park. Solo che una volta che il film passa completamente alla modalità monster-movie, si inizia davvero a notare quanto siano sciatti e mal pensati anche i momenti di brivido e di emozione. Cosa ci facciamo qui?
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Solo Ortega sembra uscire indenne da questa sorta di incidente automobilistico più che un film di genere. Meno male che c’è Anthony Carrigan di Barry nei panni di un maggiordomo le cui risposte impassibili a un milione di richieste ridicole sono una delle poche grazie salvifiche del film. Avremmo voluto che più attori del cast fossero stati in grado di sintonizzarsi con il suo mood. La star di Mercoledì deve rappresentare una generazione che ha ereditato un mondo orientato verso la catastrofe, saccheggiato delle sue risorse da coloro che finanziano la politica e governato da ricchi ottusi o subordinati complici che si contendono le briciole. La sua preoccupazione sia per gli animali che per il quadro generale, per non parlare della sua frustrazione e rabbia per quelle che l’eredità di una truffa avida vecchia come il capitalismo ha prodotto, offre un piccolo raggio di sentimento in un film preoccupato di preparare una carneficina francamente poco impressionante. Attori come lei che riescono in qualche modo a trovare un appiglio in disastri pulp come questo sono certamente nella wish-list dei registi, ma sono quasi impossibili da trovare. Crediamo che esista persino un termine del settore per persone come lei. Inizia con la “U”.
Da Rolling Stone US
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